La scorsa settimana ho partecipato a un webinar sul Codice Etico di ICF.
Un appuntamento dedicato al coaching, ma in cui si è parlato anche di un fenomeno che vale ben oltre la mia professione.
Si chiama ethical fading, che in italiano potremmo tradurre con “sbiadimento etico”.
E no, non è un termine da manuale accademico. È qualcosa che può capitarci tutti i giorni, anche nelle situazioni più comuni.
Che cos’è?
È quel momento in cui l’aspetto etico di una scelta diventa invisibile ai nostri occhi, offuscato da urgenze, pressioni, abitudini.
Continuiamo a percepirci come “brave persone”, ma intanto iniziamo a fare piccole forzature:
– omettiamo una parte della verità,
– usiamo parole che nascondono il significato reale,
– spostiamo la responsabilità su qualcun altro.
Non ci diciamo: “sto facendo qualcosa di sbagliato”.
Ci diciamo: “è il mercato”, “non ho scelta”, “sto solo semplificando”.
E così la linea si sposta.
Un centimetro alla volta.
Finché, senza nemmeno accorgercene, ci troviamo oltre.
È un bias cognitivo, esattamente come quelli che studio e alleno nei percorsi di coaching.
E come ogni bias, si combatte con consapevolezza e domande efficaci.
Eccone due:
- Se guardassi questa situazione da fuori, cosa vedrei?
- Mi sembrerebbe trasparente o un po’ opaca?
Allenare questo tipo di sguardo non è facile, ma fa la differenza tra l’essere efficaci… e l’essere coerenti.
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