Oggi voglio parlarvi di una professionista, chiamiamola semplicemente “F.”, che si è ritrovata a navigare le complessità di un nuovo ruolo di responsabilità in un contesto esigente e, a tratti, caotico. Magari è una situazione nella quale potete riconoscervi, e quindi voglio raccontarvela.
Appena assunta la sua nuova posizione, F. ha immediatamente percepito il peso del carico di lavoro accumulato e della necessità di gestire le richieste di clienti e colleghi. Il suo profilo, caratterizzato da un forte orientamento al supporto e alla collaborazione, la portava a essere il punto di riferimento esclusivo per ogni decisione. Questa inclinazione, sebbene positiva per il clima lavorativo, si traduceva in una costante interruzione e nella difficoltà di delegare in modo efficace. La paura che il lavoro non venisse svolto adeguatamente la spingeva a intervenire in prima persona, aggravando il suo stress e ostacolando l’autonomia del team.
Il percorso di coaching si è concentrato inizialmente sul recupero di spazio mentale e operativo.
Per affrontare il sovraccarico, F. ha imparato a distinguere tra urgenza e importanza. Le ho fornito uno strumento come la matrice di Eisenhower per definire priorità chiare, e F. ha adottato una nuova strategia: smettere di inseguire continuamente le urgenze e organizzare blocchi di tempo dedicati a compiti importanti. Inoltre, ha strutturato le sue attività suddividendole in tre livelli:
- Bloccanti (da fare subito)
- Capitalizzanti (che fanno risparmiare tempo in futuro)
- Valoriali (che contribuiscono al benessere)
Un insight cruciale è stato il riconoscimento del problema del multitasking, che generava confusione e inefficienza. F. si è impegnata a completare un’attività alla volta, ignorando temporaneamente le distrazioni.
Il timore di delegare è stato affrontato attraverso il superamento di un pregiudizio: delegare non significa “passare la patata bollente”, ma definire in modo esplicito le responsabilità. Grazie al dialogo di coaching abbiamo chiarito i bias di cui era “vittima”, come l’illusione della trasparenza (“I collaboratori non possono non sapere cosa c’è da fare”, pensava F., che però non glielo aveva mai detto!)
Questo ha permesso a F. di iniziare a bilanciare meglio il carico di lavoro all’interno del team.
Man mano che l’efficienza aumentava è emersa la sfida relazionale.
F. si sentiva spesso sottovalutata o interpretata come critica, soprattutto in contesti dove era percepita come l’ultima arrivata o l’unica donna. La paura di essere giudicata come arrogante la portava ad un linguaggio passivo-aggressivo. A quel punto ci siamo allenati nell’uso di un linguaggio più assertivo eliminando le recriminazioni e concentrandoci su ciò che era davvero in suo potere.
Superate le difficoltà operative e relazionali, l’ultima fase si è concentrata sulla gestione emotiva e l’accettazione dell’incertezza. F., precisa e organizzata, faticava ad accettare gli elementi fuori dal suo controllo, come la rigidità burocratica o gli obiettivi difficili.
L’intervento si è focalizzato sul rafforzare il dialogo interno e sul concentrarsi su ciò che poteva controllare. L’insight finale, di grande maturità, è stato il riconoscere la propria tendenza a concentrarsi solo sull’obiettivo finale, trascurando i successi parziali.
La metafora emersa è stata quella del “godersi il percorso”: “Goditi di più le cose buone mentre accadono. Non aspettare solo il risultato finale”.
Questo percorso ha trasformato una professionista sopraffatta in una leader più consapevole.
Se credi che il coaching possa aiutare anche te come F., non esitare a contattarmi! Buona settimana.
Sono un coach e un formatore, posso aiutarti nello sviluppo delle soft skill, nella vendita e nel marketing. I miei percorsi sono sia individuali che di team. Contattami per saperne di più: antonio@sanna.coach

Antonio Sanna
Coach | Formatore

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